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2014

Esclusiva – Il pallone ce lo spiega lui: CN24 intervista Luciano Moggi

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In occasione dell’uscita del suo libro ‘Il pallone lo porto io’, abbiamo parlato di tutto (Calciopoli compreso) con l’ex DS della Juventus. Mettetevi pure comodi…

MILANO, 4 GIUGNO – La chance per incontrare Luciano Moggi era nell’aria da qualche tempo. Direttamente collegata all’uscita del suo nuovo libro ‘Il pallone lo porto io’ (Mondadori), una proficua miniera di aneddoti e ricordi sul sancta sanctorum calcistico degli ultimi 50 anni; una lettura di quelle che non ti scordi tra battute pungenti, esternazioni in puro “moggese” e irrefrenabile joie de vivre. Un bel salto dal precedente (ed oltremodo cupo) ‘Un calcio al cuore’ del 2007, stampato in piena bufera-Calciopoli e nelle cui pagine Big Luciano preferiva evocare il conforto della Fede piuttosto che farsi due sghignazzate su questo o quel (presunto) fenomeno pallonaro. Ma quelli d’altronde erano altri tempi, quello era un altro Moggi.

 

Già, Luciano Moggi da Monticiano, provincia di Siena, Toscana ruspante. Lui – puntualissimo all’intervista con CN24 – sbuca da una porta bianca e, osservandolo da vicino, è esattamente come uno se l’è sempre immaginato: icona-pop della nostra epoca e volpe astutissima del mercato. Un carattere che sa esattamente quando è il momento di scherzare e quando bisogna riportare il discorso sul sentiero della serietà. Un uomo di calcio che – inutile girarci attorno – sta attendendo la fine di un processo penale (ancora in corso in quel di Napoli) oltreché una figura altamente controversa per tutti coloro che soffrono da sempre di anti-juventinità verace. Ma questa dove ci troviamo ora non è un’austera aula di tribunale, bensì un elegante salottino con vista sul Duomo di Milano. Ragion per cui abbiamo preferito fare quello che meglio ci compete: parlare di calcio. Un po’ perché il calcio è la nostra lingua quotidiana, un po’ perché il pallone oggi l’ha portato effettivamente Lucianone. E le sue saranno sciabolate mica male…

 

Allora, come te la passi?

“Sto bene: la salute è ottima e di tutto il resto non mi lamento. Come potrei? In fondo sono nato nel 1973…”

 

A me risultava 10 luglio 1937.

“1937? Non scherziamo, quella è una diceria di chi mi vuole male… (ride)”

 

Dimmi la verità: quando ti è tornata la voglia di sorridere?

“Alcuni mesi dopo la bufera di Calciopoli, quando si erano conclusi i primi interrogatori. È stata in quell’occasione, d’altronde, che il famoso ‘rapporto esclusivo coi designatori’ si è rivelato per ciò che era: una menzogna bella e buona. Primo perché lo statuto della FIGC lo prevedeva e secondo perché a Milano, in quegli anni, si facevano delle cene ‘distensive’, ‘per armonizzare l’ambiente’ a cui partecipavano tutti, ma proprio tutti… Vogliamo poi parlare delle 170mila intercettazioni totali di cui solo 21 sono state prese in esame?”

 

Tra quelle 21 intercettazioni c’era anche quella riguardante il famoso “sequestro Paparesta”…

“Un’altra falsità allucinante! Ma di quale sequestro e sequestro stiamo parlando? Eppure la vicenda-Paparesta mi è stata utile a suo modo: è stato lì che mi sono messo ad ascoltare con attenzione tutte queste 170mila intercettazioni, rigorosamente una per una. E ne sono venute fuori delle belle…”

 

Cambiamo discorso. Ti sei mai riconosciuto nel Moggi potente, autoritario e antipatico che – negli anni di Maradona o della Triade juventina – vinceva qualsiasi cosa?

“Queste sono cose che sostieni tu… Autoritario? Solo per il bene della squadra. Antipatico? In realtà le donne mi hanno sempre dato del gran simpaticone e pure l’Avvocato Agnelli s’era accorto di questo mio ascendente sull’universo femminile: avresti dovuto sentire le battute tra di noi! (ridacchia) Potente, poi, credo che non me l’abbia mai detto nessuno”.

 

Insomma, i soliti luoghi comuni di un Italia invidiosa e rosicona?

“Esatto. E dammi retta: a questi rosiconi – come li chiami tu – bisognerebbe raccontare del mio passato speso a perlustrare i campetti più sconosciuti della provincia. A quanti chilometri mi sono sparato sul treno Civitavecchia-Torino alla ricerca di giovani calciatori talentuosi. Erano gli anni ’60 e viaggiavo rigorosamente in seconda classe, mica col jet privato…”

 

Fiero di esserti fatto il mazzo per quindici lunghi anni e da perfetto sconosciuto?

“Sì, non lo rinnegherò mai e mi piace raccontarlo nei miei libri. Anche perché lì, probabilmente, mi sono guadagnato qualcosa che mi è stata utile in seguito”.

 

Dispiaciuto, invece, che la Juventus non possa ancora sfoggiare (per sua scelta) la terza stella sulla maglia?

“Sono più che altro dispiaciuto per come è stato condotto l’intero processo di Calciopoli. La fretta eccessiva delle prime settimane e i ritardi inspiegabili nel consegnare il resto delle prove. Le archiviazioni… E poi quel termine che ha scandalizzato mezza Italia: ‘sistema strutturale’, l’hanno chiamato i giudici. Ma sistema di che?! Rappresentava forse reato gestire bene una società? Spendere oculatamente le poche finanze di cui disponeva la Juventus all’epoca? Dai! L’errore massimo, infine, fu quello di scegliere il patteggiamento. La Juve, in quel modo, si condannò da sola alla serie B. Evidentemente, a quei tempi, le andava bene così…”

 

Bé, tra la serie B e l’ipotesi di radiazione (si citò anche quella parola – ‘radiazione’ – durante i caldissimi giorni di Calciopoli) qualcuno, ai piani alti, si sarà preso paura…

“Ma quale radiazione! (scuote la testa) Distruzione programmata di una squadra invincibile, semmai. Quello si erano messi in testa di fare e… quello hanno fatto!”

 

Veniamo al dopo-Calciopoli: nel 2006/2007 l’Inter vince lo scudetto col vento in poppa e praticamente senza concorrenza. Il Milan, di suo, trionfa in Champions League sconfiggendo consecutivamente il Manchester United (semifinale) e il Liverpool (finale) in un periodo in cui il calcio inglese andava alla grande… Tutto legittimo?

“Con Ibrahimovic in squadra quel campionato lo avrei vinto pure io… E comunque, dal 2006, il calcio italiano è talmente peggiorato in Europa che il quarto posto per accedere alla Champions se l’è preso giustamente il Portogallo. E poi fammi aggiungere una postilla sull’Inter: ai tempi della Juve di Capello chiudeva i suoi tornei a 30 punti di distanza dalla capolista mentre quest’anno ha terminato la stagione a meno 40 dai ragazzi di Conte! Insomma, con Vieira e Zlatan era una pacchia, poi come da tradizione è tornata a non saper gestire il mercato”.

 

Ora l’Inter è in mano a Walter Mazzarri che nel tuo libro definisci – cito testuale – “un allenatore che se gli affidi una squadra per salvarsi, arriva a metà classifica. Se gliene dai una per vincere arriva… a metà classifica”. Quel che si dice un giudizio tranchant!

“È semplicemente quello che penso: io non ce l’ho con Mazzarri, come allenatore mi sta pure simpatico e gli auguro tutto il bene del mondo. Però gioca quel calcio lì, totalmente di rimessa, da squadra con ambizioni che non vanno oltre l’Europa League. Non mi stupisce che ultimamente abbia cercato di prendere Abel Hernandez del Palermo, un tipico giocatore da contropiede…”

 

Mi sembri un po’ ingeneroso con WM: a Napoli ha portato gli azzurri per due anni consecutivi in Champions League.

“Già, peccato che nello stesso periodo poteva vincere due campionati con i vari Cavani, Hamsik, Lavezzi, ecc”.

 

Hai letto del Parma che ha mosso ben 178 contratti in una sola stagione tramite calciatori che il team gialloblù non l’hanno visto neppure col binocolo?

“Non so che dirti. Io il mercato lo facevo solo in funzione della mia squadra. Quell’artificio, ad essere sincero, l’ho sperimentato solo con Adrian Mutu facendolo passare dal Livorno prima di tesserarlo per la Juventus; ma si trattava di Mutu: un grande campione”.

 

Mi spieghi una volta per tutte come sei riuscito nel 2004 ad acquistare Fabio Cannavaro dall’Inter a zero euro?

“Semplice: ho fatto uno scambio alla pari con il portiere Fabian Carini che mi fu valutato 10 milioni di euro dalla stessa Inter, nonostante avesse il crociato anteriore rotto. Ma con quello – intendo il crociato anteriore danneggiato – un estremo difensore può comunque scendere in campo…”

 

Cannavaro, nel giro di un biennio, vinse due scudetti (poi revocati), il Mondiale da capitano in Germania e il Pallone d’Oro. I trionfi di Carini mi sfuggono.

“Considera che quello scambio avvenne il giorno di Ferragosto in una Milano completamente deserta; e il caldo, come ben sai, talvolta può dare alla testa… (ride) Battute a parte, Fabio mi deve molto perché quando l’acquistai era un calciatore sul viale del tramonto che però, grazie ai suoi meriti, giocò ancora diversi anni a livello eccezionale. Il contribuito che diede alla Juventus, a posteriori, lo abbiamo pagato caro. Oh se lo abbiamo pagato caro… (sospira)”

 

Cosa combinerebbe uno come te in questo 2014 popolato di magnati russi, sceicchi miliardari e calciatori valutati 100 milioni di euro? Intendo il Moggi senza portafoglio assunto dalla Juve nel 1994…

“Guarda, per me sarebbe più facile di una volta per il semplice fatto che oggi girano molti più soldi virtuali e titoli di borsa. E poi il buon dirigente è quello che sa vendere, non comprare. Negli anni ’90 era molto più complicato vendere. Ora meno.”

 

Nel 1999 tu vendesti Thierry Henry all’Arsenal dopo appena sei mesi di Juventus. Un campionissimo in divenire, il buon Titi.

“In quel caso fui molto cinico: lo comprai a 20 miliardi e lo rivendetti a 33, un buon affare per la mia squadra. Henry, nella Juve di Ancelotti, era ancora un ‘mezzo-campione’: non sapeva giocare bene negli ultimi 16 metri come un Inzaghi della situazione. Fu Arséne Wenger a tramutarlo in un fuoriclasse completo, Carlo aveva altre idee. Capita in questo mestiere.”

 

Chi avevi segnato sul tuo taccuino nella primavera del 2006, appena prima che scoppiasse il terremoto-Calciopoli?

“In quel periodo guardavo molto spesso in casa del Liverpool. Avevano una mezzala interessante.”

 

Ma chi? Steven Gerrard?

“Vedo che hai studiato per bene… (sorrisino)”

 

Qualcuno, in questi ultimi otto anni, ti ha mai proposto di portare la tua vicenda al Cinema tramite una pellicola su Luciano Moggi? In tal caso come regista vedrei bene Paolo Sorrentino…

“Sì, qualcuno ci ha pure provato, ho ricevuto 2 o 3 proposte in tal senso, ma sono io che non ho voglia di farlo. Vorrebbe dire lasciare ai posteri una storia vissuta fino al 2006, mentre io voglio andare avanti. Guardare oltre. Alla Legge Moggi per esempio…”

 

Cos’è la Legge Moggi?

“Il fatto più epocale nella storia del calcio dai tempi della Legge Bosman! (ridacchia) La attendo con molta impazienza perché, secondo me, il meglio deve ancora venire. Vediamo nei prossimi mesi cosa deciderà di fare la Corte Europea…”

 

‘Il pallone lo porto io’ (Mondadori, 189 pagine) di Luciano Moggi con Andrea Ligabue è attualmente in vendita nelle migliori librerie italiane. La prima tiratura è quasi terminata, ma a breve arriverà la ristampa. “E questa nuova edizione sarà ricchissima di foto esclusive!”, si affretta ad aggiungere lo stesso Moggi che – credeteci o meno – nel corso della nostra intervista non si è mai acceso il sigaro. Né ci ha interrotti per rispondere ad una telefonata… 

 

di: Simone Sacco