Monza Di Gregorio: «La forza in famiglia; Futuro? Penso all'oggi»
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Monza Di Gregorio: «La forza in famiglia. Futuro? Penso all’oggi»

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Le parole di Michele Di Gregorio, portiere del Monza, intervistato da La Stampa: «Dobbiamo superare i punti dell’anno scorso»

Michele Di Gregorio, portiere del Monza, ha parlato a La Stampa in una lunga intervista prima della sfida al Torino in cui si racconta a 360°.

OBIETTIVO – «Mi piace pensare all’oggi senza guardare troppo in là perché altrimenti si fanno male le cose quotidiane. Voglio concentrami su questi due mesi col Monza. Poi, dopo l’ultima giornata di campionato, vedremo cosa ci sarà di concreto. Sto benissimo a Monza. Non ho bisogno di scappare. Se verrà qualcosa per fare uno step, lo valuteremo. Non avrei mai pensato di arrivare così in alto quando mi chiamò l’Inter da bambino».

ARRIVO ALL’INTER – «Avevo 6 anni e mezzo, mi chiesero di aggregarmi per qualche allenamento in vista della stagione successiva. All’inizio non volevo andare, è stato mio papà Marcello a convincermi dicendomi di provare liberamente. Ogni tanto volevo smettere perché vincevamo con tanti gol di scarto ed ero impegnato poco. Mi ha convinto ancora papà dicendo che sarebbero arrivate sfide contro squadre più forti. Ho perso mio padre quando avevo 13 anni. A 16 mi sono tatuato il suo nome sull’avambraccio. Ha dovuto firmare l’autorizzazione mia mamma Agata: “Se è per papà, va bene”. Adesso l’ho convinta a tatuarsi le nostre iniziali sulle dita: A, M, Me la A di mia sorella Angela».

PADRE PER LA SECONDA VOLTA – «Riccardo dopo Marcello, il primogenito chiamato come mio papà. Ho conosciuto mia moglie Samantha a 16 anni a Corsico. Mi ha seguito a Renate. Non è stato facile perché lì avevo uno stipendio normale. Adesso viviamo a Sedriano vicino a mia sorella, mamma, nonna e zia. Ho bisogno di stabilità, cerco quello che mi è mancato. Quando torno da Monzello, se qualcosa è andato male, a casa azzero tutto. Se fossi da solo, i problemi mi mangerebbero dentro».

DUE ANNI DI SERIE A – «Sono cresciuto tanto grazie ad Alfredo Magni, il preparatore di Donnarumma al Milan. Crede molto nell’intensità del lavoro e nell’utilità della palestra. Mi sono irrobustito. Nei giorni scorsi abbiamo fatto un patto nello spogliatoio tra giocatori e allenatore: dobbiamo superare i punti dell’anno scorso quando abbiamo chiuso a 52. Ora ne abbiamo 42. Dobbiamo pensare di poter vincere ogni partita a partire da quella col Torino».

TORINO – «È una squadra fisica che a tratti ti fa giocare male. Juric e Palladino sono allenatori simili, ma forse Palladino è più flessibile e aperto a provare situazioni nuove».

MILINKOVIC-SAVIC – «Non sai mai cosa farà quando ha il pallone: appoggio vicino o
lancio a 70 metri. Ormai il portiere va studiato come un giocatore di movimento. A me piace partecipare alla costruzione dal basso, ti senti coinvolto perché puoi aiutare a creare un gol
».

MODELLI – «Julio Cesar e Handanovic. Allo sloveno cercavo di rubare ogni dettaglio in allenamento alla Pinetina. Lo seguivo con ammirazione a distanza. Qualche volta mi paragonano a Peruzzi. Forse per il fisico. È un grande complimento. Anch’io spero di arrivare in Nazionale, ma dopo gli Europei: adesso il gruppo è fatto. Non voglio viverla male, tengo lì questo desiderio come un sogno».

FUORI DAL CALCIO – «Ammiro la forza mentale dei tennisti. È una fonte di ispirazione per un portiere, solo davanti all’errore come loro. Mi affascina la capacità di ritrovare equilibrio dopo una fase negativa. Me ne sono reso conto andando a vedere le Atp Finals a Torino. Tifo per Sinner. Ma mi piace tantissimo Alcaraz per il suo mix tra colpo corto, capacità di lottare e grandi recuperi».

IL PROBLEMA DI LANCIARE I GIOVANI – «Contano i risultati più di ogni cosa. Serve un nuovo equilibrio: inserire i giovani dentro un gruppo consolidato. Bisogna responsabilizzare di più i ragazzi nei settori giovanili. Siamo un po dentro questo processo, anche se forse con pochi italiani. La Juventus sta lanciando giovani. L’Inter lo fa da qualche anno: Bastoni, Barella, Dimarco».

DIMARCO – «Siamo coetanei, abbiamo fatto tutta la trafila nell’Inter. Ci ritroviamo insieme a due ex compagni del vivaio: Enrico De Micheli e Nicolò Gazzotti. Loro hanno fatto altri percorsi dopo la Serie C, ma certi legami restano per tutta la vita. I tornei di una settimana lontano da casa a 14-15 anni non si dimenticano mai, come una gita scolastica».