Zigoni ricorda il calcio di una volta e su Herrera: «Se sgarravi ti picchiava»
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Zigoni ricorda il calcio di una volta e su Herrera: «Se sgarravi ti picchiava»

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In un’intervista Gianfranco Zigoni fa un confronto tra il calcio di un tempo e quello di adesso e racconta i retroscena del suo periodo alla Juventus con Heriberto Herrera

Dal ricordo di Morini a quello di Heriberto Herrera, Gianfranco Zigoni, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport si racconta e confronta il calcio di adesso con quello dei suoi tempi. Ecco le sue parole.

IL CALCIO – «Ho visto l’Under 21 e ho avuto l’esaurimento. Si passavano la palla l’uno con l’altro, poi la davano al portiere e ricominciavano con i passaggini. Pensavo a Sivori e Maradona che andavano dritti in porta. Ho accompagnato mio nipote Tommaso, otto anni, alla scuola calcio. L’allenatore urlava: “Passala, passala”.Non ho resistito: “Hai finito con questo passa passa? Devi gridargli dribbla dribbla”. Mi ha risposto che in un certo senso avevo ragione»

MORINI – «Se ne è andato Francesco Morini. Alla Juve ero in camera con lui, ascoltavamo le canzoni di De André. Poi io sono passato alla Roma e lui è rimasto a Torino.Un pomeriggio all’Olimpico ci siamo dati un sacco di botte, volavano insulti. Alla sera siamo usciti a cena e lui ha dormito a casa mia. Oggi funziona così? Non credo».

HERIBERTO HERRERA – «Non riuscivo più a mangiare, vomitavo tutto, persi dei chili. Un amico medico mi prescrisse una cura di punture e mi spedì in montagna. Al mattino Heriberto ti metteva sulla bilancia e se il peso non era giusto… In allenamento, se sgarravi, ti dava dei pugni. Una volta ha dato una spallata a De Paoli che è franato addosso a me e sul ghiaccio si è rotto undito. Perché? Ci eravamo scambiati una battuta. Una sera invita me, Del Sol e Cinesinho a mangiare e a bere a casa sua, c’è il ben di Dio e ne approfittiamo. Una trappola. Il giorno dopo alla bilancia dice: “Pesate troppo, vi do la multa”. Alla Juve mi sentivo un prigioniero. Odiavo Heriberto, poi ho capito che aveva ragione, perché era onesto e meritocratico, e oggi mi dico che è stato un onore giocare nella Juve»