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Napoli-Atalanta, l’inconsistenza delle critiche a Sarri e la super Dea

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Colpo di scena al San Paolo: il Napoli va fuori dalla Coppa Italia 2017-18, alle semifinali ci va con merito l’Atalanta di Gasperini. L’analisi

Subito il botto in apertura d’anno: la prima gara ufficiale del 2018 segna l’eliminazione dalla Coppa Italia del Napoli di Sarri, capolista in Serie A dopo un 2017 da urlo. Alle semifinali accede con enorme merito la spettacolare Atalanta di Gasperini: la prova di forza inscenata sul prato del San Paolo vale la possibilità di giocarsi la finale, nerazzurri che aspettano l’avversario dal derby della Mole, questa sera tra Juventus e Torino. Qualificazione ottenuta tutta nella ripresa: il Napoli ha sprecato nel primo tempo ed è stato puntualmente punito nel secondo dalle reti di Castagne e Gomez. Tardiva la reazione partenopea: l’Atalanta ha tenuto nel finale senza troppi patemi ed ha ratificato l’ennesima impresa della gestione Gasperini.

Le critiche a Sarri: come fa sbaglia

Sono oggettivamente imbarazzanti le critiche mosse a Sarri nel post-partita da una fetta importante di addetti ai lavori: ieri, nella sfida con l’Atalanta, avrebbe sbagliato. Colpevole di aver operato un massiccio turnover – sette cambi rispetto alla sfida di campionato vinta sul campo del Crotone – contro una squadra di assoluto valore, quell’Atalanta che non può essere sottovalutata con l’inserimento di una serie di seconde linee. Ed allora ecco il paradosso dell’ambiente partenopeo e nel complesso del partito dei contestatori: quando non fa turnover sbaglia perché non attinge a pieno dal suo organico e finisce con lo sfiancare i soliti titolarissimi, poco lucidi poi nelle occasioni che contano, quando invece attua il turnover sbaglia perché le seconde linee non sono all’altezza dei titolari e si rischia una prestazione non consona. Dunque come fa sbaglia. Il tenore delle critiche è oggettivamente sconcertante e sa di precostituito: lo si fa a prescindere, basta trovare qualcosa a cui aggrapparsi.

Napoli, dove sta la verità

Chiunque mastichi un minimo di calcio sa che una squadra come il Napoli, del livello raggiunto dai partenopei da anni, non sceglie quando vincere o perdere: gioca per imporsi, contro tutti, dal Benevento al Manchester City. Ovviamente alle volte riesce nel suo intento, in altre occasioni deve riconoscere il valore dell’avversario o della sua serata storta. La verità sta nelle circostanze accadute in questa stagione: gli infortuni di Faouzi Ghoulam ed Arkadiusz Milik hanno privato Sarri di due risorse cruciali per la qualità delle rotazioni. Senza l’algerino sulle corsie si soffre: Ghoulam era pezzo pregiato della proverbiale catena mancina orchestrata dal tecnico, averlo perso riduce quel genere di efficacia e deprime ulteriormente il livello delle rotazioni, con il precedente infortunio di Mario Rui che condiziona il suo ingresso in pianta stabile nella macchina sarriana. L’assenza del centravanti polacco fa male sotto due aspetti: il primo di carattere quantitativo, Milik era infatti l’unica reale alternativa al tridente titolare considerata da Sarri. Il secondo di carattere qualitativo: Arek fungeva da piano B in termini strettamente tattici: quando c’era da cambiare lo spartito, in altre parole quando la rete di passaggi palla a terra non funzionava e non riusciva a scardinare le difese avversarie, l’ingresso del centravanti di stazza (e dotato di ottimi fondamentali tecnici) garantiva all’allenatore una considerevole variante. Averli persi per lungo tempo, in un organico sì dotato ma non strutturato quanto lo è ad esempio quello della Juventus, non ha permesso di gestire a pieno tutte le competizioni. Ha limitato il potere di manovra di Sarri: la finestra estiva di calciomercato avrebbe dovuto portare in dote un altro attaccante di comprovato valore. Poche storie. Magari un jolly da poter impiegare sui versanti laterali così come da riferimento offensivo, reale o falso che sia. Il Napoli ha rischiato con il solo Milik, già reduce da un infortunio così grave. Incolpare Sarri di questo è assolutamente pretestuoso: il lavoro del tecnico è straordinario – le sue continue intuizioni per tappare le falle, basti pensare all’ultima, con Zielinski perfettamente funzionante nel ruolo di Insigne – e sta permettendo alla squadra di competere con una Juventus decisamente più attrezzata.

I meriti dell’Atalanta

Per non parlare poi della scarsa considerazione che si sta concedendo all’Atalanta nella maturazione del risultato: il Napoli ha perso contro una signora squadra, che sul suo percorso ha segnato un’ulteriore pagina di crescita da esporre in curriculum. Prima di tutto i fatti: nel mostruoso anno solare vissuto dal Napoli, un 2017 in cui nelle 39 gare disputate in Serie A sono arrivate appena due sconfitte, una delle due portava proprio il nome dell’Atalanta di Gasperini. Se non bastasse, nell’attuale campionato i nerazzurri hanno fermato la Juventus sul proprio campo, in un 2-2 che per larghi tratti di gara ha visto la Dea prendere il sopravvento sul più quotato avversario. Atalanta che oggi deve essere considerata a tutti gli effetti una realtà del calcio italiano: è magistralmente guidata da Gasperini in termini di sviluppo del gioco ed abbinamento delle due fasi, ha una massiccia densità di campo ed un pressing che sfianca l’avversario, attuato già sulle prime linee opposte e condotto per buona parte dell’incontro. La valorizzazione individuale fa il resto: i giovani crescono senza troppe pressioni e sono scelti saggiamente, merito di una dirigenza accorta più di tutte le altre sotto questo versante, i migliori talenti fanno parte del discorso complessivo senza però essere snaturati. Atalanta e Lazio (con le rispettive proporzioni) meritano oggi la conquista di un trofeo come la Coppa Italia per quello che stanno facendo vedere sul campo: chi in queste ore sta riversando tutta la sua insoddisfazione sul lavoro di Maurizio Sarri – incredibile ma vero – dovrebbe anche sapere che in campo non si gioca da soli. E che puoi trovare avversari di livello anche se si chiamano Atalanta. Sarri lo sa, qualcun altro forse ancora no.