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Perché la Juventus adesso è più forte

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Tra Monaco e derby, dalla Champions al campionato: i precedenti

Quando si esce da una manifestazione così affascinante e dal livello “stratosferico”, per citare la valutazione di Gigi Buffon al termine di Bayern Monaco Juventus, non è pensabile che tutto scorra nella piatta normalità. Basta una piccola indagine nel mondo del tifo per rendersi conto di quanto vuoto si origini quando non si fa più parte dell’Europa. Personalmente il dolore più grande lo provo nel giorno dei sorteggi, non tanto perché sostituisco il nome della Juve al club che ci ha eliminato – inutile sottolineare che una sfida con il Benfica ai quarti oggi farebbe sognare un avvicinamento considerevole alla meta milanese -; a colpirmi nel profondo è l’idea – stavolta fortissima, molto più di altre uscite di scena – che avremmo meritato di stare nel lotto dei grandissimi e sarebbe stata la vera grande novità in un panorama dove la squadra intrusa tra le tre grandi (Real Madrid, Barcellona e Bayern) non riesce mai a ripetersi da un’edizione all’altra. Per quello che si è visto tra Torino e Monaco, per l’incidenza che hanno avuto gli episodi sul verdetto finale e – soprattutto – per lo 0-3 sfiorato da Cuadrado che avrebbe funzionato da pietra tombale sulle aspirazioni dei tedeschi, ritengo ancora una volta Buffon nel giusto quando già prima della gara parava dell’incontro come di una vera e propria semifinale. E così è stato, con la bella sensazione – che ovviamente produce proporzionalmente la conseguente amarezza – che la squadra di Guardiola non si era mai vista così alle corde precedentemente, a eccezione per l’appunto dei confronti diretti con merengues e blaugrana che ne avevano stoppato il cammino nel 2014 e nel 2015.

OBIETTIVI, NON SOGNI – L’Allianz Arena consegna un impegno preciso alla formazione di Allegri. Più che guardare alle singole sezioni dei rimpianti – se ne possono trovare svariati, a partire dal primo posto mancato nel girone -, è bene partire dal messaggio che gli ottavi di finale regalano al gruppo: la consapevolezza dei propri mezzi. Ultima citazione per il capitano: da adesso in poi, nei prossimi due anni, la Juve potrà porsi l’obiettivo di vincere la Champions League, ha detto il nostro numero 1 (e non solo per la maglia che indossa). Se in due anni si elimina il Real Madrid – non uscendone mai battuti nei due incontri, cosa che non succedeva neanche ai tempi di Lippi o di Capello; se si mette in difficoltà il Barcellona, come in nessuna delle finali vissute dai catalani nell’ultimo decennio era mai capitato prima; e, infine, se per 60 minuti si mette in pratica un’idea di superiorità, chiarendo che non di solo possesso palla o dominio del campo si vive (alla faccia di Sacchi e dei suoi ideologismi), ma di una gestione della partita di assoluta padronanza; se è successo tutto questo, è legittimo coltivare un’ambizione grande, farla crescere, comunicarla anche pubblicamente. Non più un sogno, ma un traguardo da porsi come obiettivo, ancor più importante nel momento in cui si vede il calcio italiano immerso in una crisi che non si registrava – a livello di club – dal 2001 (e dubito fortemente che si verificherà una pronta ripresa come avvenne allora, quando due anni dopo ci trovammo Juventus, Milan e Inter in semifinale di Champions League).

SUBITO IL CAMPIONATO – Il calcio esige programmazioni a lungo termine ma obbliga a verifiche nell’immediato. Per la Juve il derby di domenica pomeriggio capita dopo 120 minuti tiratissimi e forse un impegno meno emotivamente coinvolgente poteva essere un modo migliore per riprendere il passo in campionato. L’insidia di una settimana che dal sogno si trasforma in incubo c’è e proprio la serietà della sfida non concede distrazioni, né l’avversario né i soli 3 punti di vantaggio in classifica sul Napoli permettono la possibilità di giorni sereni. Occorre rituffarsi subito nel senso di un’altra grande impresa, quale sarebbe la conquista del quinto scudetto consecutivo e di un’altra Coppa Italia, che renderebbe questa stagione all’altezza di quelle mitiche – e ingorde – che si vivono raramente. Molti pensano e scrivono che una squadra ferita dall’eliminazione avrà ancora più rabbia da mettere sul campo nella sfida stracittadina. Non so se sarà così per due semplici motivi. Le energie nervose impiegate a Monaco sono state enormi, recuperare su quel piano può anche far andare in cortocircuito, la Juve ha altre risorse – tecniche e tattiche – per avere ragione dei cugini. In più, potrebbe proprio essere l‘atteggiamento del Torino di Ventura a non rendere necessario un surplus di agonismo: formazione ragionatrice e solida nel migliore dei casi, troppo rigida nell’applicazione del suo 3-5-2 e quasi mai feroce nel suo approccio alla gara, tutte dimensioni che non hanno mai originato derby particolarmente accesi in questi anni. Non lo è stato neanche quello che l’anno scorso ha spezzato il tabù che voleva il Toro non vincere da due decenni: anzi, in quel caso, sembrarono i bianconeri avere più motivazioni, i padroni di casa furono abili a sfruttare favorevolmente le situazioni sotto porta, confidando poi sull’aiuto di tre legni colpiti da Pirlo e compagni.

I PRECEDENTI – Cosa dice la storia recente a proposito dell’immediata reazione della Juve dalla delusione europea? Limitandoci da Conte in poi, vista la presenza di molti giocatori della sua gestione nella rosa attuale, ecco la cronologia degli eventi. Nel 2013, la Juve uscì dalla bocciatura con il Bayern (e allora fu un complessivo 4-0 rispetto al 4-4 di oggi) andando a conquistare 3 punti all’Olimpico con la Lazio, uno 0-2 maturato nella prima mezzora con una prova di enorme autorevolezza. Nella stagione successiva, due furono le eliminazioni. Dopo quella di Champions in Turchia, il 4-0 sul Sassuolo allo Juventus Stadium fu l’ottava vittoria in campionato; dopo il brutto 0-0 col Benfica in Europa League, con sfogo finale di un Conte molto nervoso, la “pace” con sé stessi la si rifece festeggiando lo scudetto davanti al proprio pubblico, contro l’Atalanta, in una gara che non contava nulla data la già avvenuta conquista del titolo. Infine, dopo Berlino non c’è stato nulla, se non la ripresa a Shanghai per inaugurare il 2015-16 con il trionfo sulla Lazio in Supercoppa italiana. E con le dovute proporzioni, si era già capito in Cina che la Juve di Allegri ha imparato a vivere dentro le grandi sfide, priva di complessi che troppo spesso – nel passato – l’hanno portata a fallire gli appuntamenti che contano.