Beppe Incocciati, l'ombra (rossonera) dello Scorpione - Calcio News 24
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2015

Beppe Incocciati, l’ombra (rossonera) dello Scorpione

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«Per me vincere la Mitropa Cup rappresentò un grande onore. In fondo stiamo parlando dell’antenata dell’attuale Champions League…»

Successe esattamente trent’anni fa e si trattò di una vicenda alquanto malinconica: Beppe Incocciati, ottimo piede sinistro di un Milan che navigava a vista tra serie A e B (due retrocessioni con relative promozioni tra il 1981 e l’83), aveva appena agguantato assieme ai suoi compagni un dignitosissimo piazzamento UEFA quando dovette abbandonare il club del suo cuore per mere ragioni di mercato. In parole povere: bisognava far cassa. E quindi bye bye Beppe, bye bye Verza.

Sembrava la fine di un amore infinito (il talentino di Fiuggi approdò a Milanello, giovanissimo, nel 1979 quando il Diavolo aveva ancora lo scudetto appuntato sulla maglia) ed invece fu l’inizio di un ottovolante esistenziale che avrebbe tenuto impegnato lo stesso Incocciati per le successive tre decadi. Prima con tanto calcio nomade (Ascoli, Atalanta, Empoli, Pisa, l’ultimo Napoli di Maradona, il Bologna in piena depressione post-Maifredi ecc.) e successivamente con tante attività extrapallonare. Vicende eterogenee che oggi, in un caldo pomeriggio di fine giugno, ci siamo fatti riassumere dal diretto interessato come degna conclusione di una rubrica che ha sempre parlato di passato per affrontare meglio il futuro. Perché questi, in fin dei conti, sono i Tempi Supplementari di un uomo costantemente innamorato del Gioco.

Sbaglio o ti si può definire un individuo in completa evoluzione? Tu nella vita, d’altronde, hai fatto un po’ di tutto: il calciatore, l’istruttore nella tua scuola calcio, il politico, l’allenatore, il commentatore sportivo…
«Posso risponderti con una battuta? Chi si ferma, soprattutto di questi tempi, è perduto! (ride) Battute a parte, questo mio ecclettismo riesco a spiegarmelo solo attraverso la mia necessità di scoprire cose sempre nuove. Senza mai improvvisare, però. Ogni volta preferisco partire da zero, erudendomi a dovere, prima di lanciarmi in una nuova avventura.»

La tua vicenda da allenatore (dopo i precedenti con Cisco Roma, Avellino e Atletico Roma) rappresenta un capitolo definitivamente chiuso?
«Finché le cose non cambieranno radicalmente, direi proprio di sì. A tal riguardo vorrei ringraziare Mediaset Premium per avermi permesso di far parte della sua squadra di opinionisti allontanandomi da quella che è diventata una vera e propria ‘terra selvaggia’. Terra dove ci sono mister che, pur di restare aggrappati al loro status, accettano – quando gli va bene –  di lavorare per 500 euro al mese…»

Noto una grande amarezza in quel che mi dici.
«Ne sono consapevole: finché resteremo in mano a dei dirigenti improvvisati o a degli allenatori senza preparazione, il futuro non potrà che essere fosco, molto fosco. Oggi lavorare nel mondo del calcio è un gran casino; ai miei tempi si era decisamente più seguiti: dal classico settore giovanile fino al dopo-carriera quando al supercorso di Coverciano ci si arrivava più informati, consapevoli e predisposti.»

Tu, da buon politico del football, avresti anche imbastito una “proposta di legge”, vero?
«Sì, mi sono immaginato una prospettiva del genere: perché non si allena in base al curriculum? Voglio dire: desideri la panchina dell’Inter? Bene, allora il tuo valore tecnico andrebbe misurato da Mourinho in giù, ma non molto più in giù… E dovresti pure essere retribuito in base ad un tariffario suddiviso per le varie fasce ed approvato ovviamente dalla Federazione.»

Riassumendo: un sacrosanto ritorno alla pura gavetta?
«Esatto. Se un tecnico desidera davvero la serie A, dovrebbe meritarsela arrivandoci per fasi regolate dal famoso tabellino/tariffario che ti illustravo prima. Non si può più bruciare le tappe. Mi sembra che i risultati negativi siano sotto gli occhi di tutti e, continuando con gli improvvisati di turno, si fa solo del male a tutta la categoria. Tecnici di valore compresi.»

Tu il patentino te lo sei sudato…
«Sono professionista da anni ormai. Per legge potrei anche allenare la Nazionale A, ma per scelta preferisco fare altro.»

In serie A, invece, quando ci arrivi? Intendo come commentatore televisivo…
«Spero presto visto che già da calciatore sono stato uno specialista nelle promozioni! (ride) Raccontare la B è stato molto divertente ed educativo, ma adesso vorrei tornare a San Siro o all’Olimpico munito di un paio di cuffie, di un microfono e del mio bel tesserino da giornalista pubblicista. Ebbene sì, mi sono iscritto all’Ordine nel 2010: te l’ho detto che nella vita non mi piace improvvisare…»

Cambiamo argomento: Paolo Sollier e Socrates facevano politica dal campo, Diego Maradona quasi, mentre tu hai aspettato di appendere gli scarpini al chiodo prima di amministrare il bene pubblico…
«Mettiamola così: volevo fare qualcosa per la mia terra, il comune di Fiuggi. In quel periodo c’erano le elezioni di mezzo così mi sono iscritto nelle liste di Forza Italia e ho dato il mio contributo da ex atleta. Ho svolto la carica di assessore allo Sport per tutta la durata del mio mandato e credo, in tutta sincerità, di aver fatto solo cose buone: ho portato l’attività agonistica in ogni scuola e, terminata la mia esperienza in consiglio comunale, in città si erano registrati almeno 110mila sportivi in più. Numeri importanti, credimi.»

Mi tocca ripeterti la domanda: capitolo chiuso quello del politico esattamente come quello dell’allenatore?
«Ehm, ti spiace se evitiamo l’argomento? La politica, comunque, mi appassiona ancora parecchio. Soprattutto a livello nazionale.»

Da questo punto di vista Silvio Berlusconi l’hai incontrato definitivamente da politico e non da giocatore visto che fosti ceduto dal Milan pochi mesi prima del suo avvento alla presidenza rossonera. All’epoca ci rimanesti male?
«A fatto compiuto e visto come sono andate le cose (l’avvento di Sacchi, lo scudetto, le vittorie in Europa ecc.) potrei dirti di sì. In fondo facevo parte anch’io della generazione dei Baresi, Tassotti, Filippo Galli, Evani ecc. che hanno lottato per ridare blasone al Diavolo. Però ai miei tempi il volere di un giocatore era tenuto in minima considerazione, le società possedevano i cartellini e la Legge Bosman sarebbe arrivata solamente un decennio dopo. Così accettai di buon grado il mio trasferimento all’Ascoli dove conobbi grandi personaggi come Rozzi e Boskov. E, nel giro di un anno, guadagnai subito la promozione in serie A dopo le due già conquistate con lo stesso Milan

Col Milan vincesti anche la Mitropa Cup, un trofeo mai troppo amato dalle parti di via Aldo Rossi…
«Non ne ho mai capito il motivo: in fondo la Mitropa Cup era l’antenata della Coppa dei Campioni e dell’attuale Champions League. Il suo era un fascino indiscutibile perché ti metteva a confronto con le formazioni del Centro-Europa, quelle del caro e vecchio calcio danubiano. Io sono stato orgogliosissimo di alzarla al cielo così come di aver conservato tutte le varie casacche rossonere degli anni ’80, soprattutto quelle utilizzate in serie B. Sono arrivato a Milanello che avevo 16 anni, un ragazzino impaurito come tanti: tutti mi hanno voluto bene fin da subito e quei due colori mi resteranno addosso per sempre.»

Col Diavolo ti sei tolto la soddisfazione di giocare anche contro Pelé…
«Sì, accadde durante un amichevole di fine stagione: lui era a fine carriera ed io ancora giovanissimo. Mi sembrava di aver raggiunto il massimo fin dal principio ed invece circa dieci anni dopo, a Napoli, mi ritrovai in squadra con un certo Maradona…»Quello fu l’ultima stagione di Diego sotto il Vesuvio, conclusasi il 17 marzo 1991 con la famosa squalifica per doping. Eppure, in appena pochi mesi, tu riuscisti a stringere con lui un’amicizia eterna…
«Destino tipico di chi è nato sotto il segno dello Scorpione! (Maradona è del 30 ottobre 1960 mentre Incocciati del 16 novembre 1963, NdR) Non poteva andare diversamente: noi scorpioni restiamo gente generosa, amichevole e con un cuore grande così. Voler bene a Diego fu semplice come apprezzare il suo sinistro.»

Sei ancora in contatto con lui?
«In teoria sì. Però, come ben sai, Maradona ha un’esistenza davvero funambolica! (ride) Sta un giorno di qui, uno di là, sempre in giro per il mondo. Non è semplice darsi un appuntamento. Anche se in passato, a Fiuggi, è venuto a trovarmi.»

Prima mi citavi il sinistro di Dieguito, ma anche tu eri un mancino mica male. A proposito: da giovane preferivi giocare da seconda punta oppure leggermente più arretrato visto che pure col dribbling ci sapevi fare?
«A me piaceva il concetto di evoluzione tattica: sono partito con la marcatura ad uomo, poi man mano sono passato alla zona mista di Liedholm e alla zona pura giocata con Maifredi al Bologna. All’epoca cambiare metodo di gioco significava anche affinare le proprie capacità tecniche. I miei compiti? Dovevo far gol, certo, ma pure far segnare i miei compagni.»

Insomma, eri un “nove e mezzo”.
«Ero un giocatore che non finiva mai di imparare. In fondo la base del mio calcio si è sempre fondata sulla qualità. E quella non te le regala esclusivamente il talento di saper calciare col sinistro: devi saperla coltivare giorno per giorno. Sudando e faticando non poco.»

Con la puntata odierna dedicata a Beppe Incocciati, si conclude la rubrica “Tempi Supplementari” ospitata con successo su CalcioNews24 dal dicembre scorso per 30 lunghe ed appaganti settimane.

Mi sia data qui la possibilità di ringraziare ancora una volta i lettori, sempre partecipi, e tutti gli ex calciatori (più un mister bresciano) che hanno dialogato a lungo col sottoscritto. Campioni siete stati sul terreno di gioco e campioni siete ancora oggi a livello di gentilezza umana, cultura sportiva e pura dialettica. Ok, l’appuntamento è fin da ora fissato al prossimo autunno per nuove, imperdibili sorprese…

Rubrica a cura di Simone Sacco – per comunicare: calciototale75@gmail.com